Movimento artistico culturale fondato dal prof.  Adolfo Giuliani

EVENTI  >> 19 dicembre 2012 - Convitto Nazionale "Vittorio Emanuele II" - Piazza Dante 41 - Napoli (Na)

Conferenza:
"I quattro punti del Manifesto esasperatista: nuove prospettive"

Saluto di Adolfo Giuliani - Fondatore del Movimento
Introduce e modera Emilia Mallardo - Dirigente scolastico Convitto Nazionale

interventi:
D.ssa Marta D'Auria - Giornalista: "Il vivere quotidiano"
Praf.ssa Clara Guarino - Componente Centro Studi Lions: "La natura violentata"
Prof.ssa Marina Melone - Neurologa: "La scienza incontrollata"
Prof.ssa Annamaria Carbone - Docente Arte: "L'arte non più fruibile"

Per l'occasione è presentato dalla prof.ssa Clementina Gily - docente di Estetica alla Federico II di Napoli - il libri di Domenico Raio "Esasperatismo - Logos & Bidone - Aspetti storici d'un Movimento culturale" (Edizioni Scientifiche e Artistiche)

 

 

“I quattro punti del Manifesto esasperatista: nuove prospettive”
di Marta D’Auria

Il primo punto del movimento esasperista recita:
2.1 Vivere quotidiano
In nome della soddisfazione dei propri bisogni e del miglioramento della qualità della propria vita, l’uomo si è immesso in un ritmo frenetico, in una spirale indefinita di attese e realizzazioni. Ha chiamato tale fluire “progresso”, “andare avanti”, e ne ha perso ineluttabilmente la possibilità del controllo e dell’arresto. Lo stress e la depressione sono i risvolti patologici dell’esasperazione del vivere.
Era il maggio 2000, l’umanità guardava gli albori di un nuovo millennio e, con euforia e ottimismo, si lasciava alle spalle le problematiche nate nel XX sec., andando incontro ad un futuro fatto di benessere e successo. In quel clima così entusiastico, il manifesto del prof. Giuliani è voce discordante, o meglio, il manifesto del prof. Giuliani è voce profetica: come nella tradizione biblica profeti non sono coloro che predicono il futuro, ma coloro che sanno leggere la storia che si dipana sotto i propri occhi e le sue contraddizioni per richiamare la collettività ad una vigilanza, ad una presa di coscienza, ad un atto di resistenza, così Giuliani ha saputo profeticamente cogliere il dramma di un tempo in cui la creatura umana si stava perdendo in una corsa frenetica, dettata dal dio progresso. In quel vortice incontrollato, la felicità coincide con il possesso ed il potere, il valore della persona con il valore del suo conto in banca e della sua influenza nella società.

Dalla presentazione ufficiale di quel Manifesto, avvenuta appunto in quel maggio del 2000, sono passati 12 anni durante i quali quel sogno ottimistico di un millennio di benessere, felicità e sicurezza si è miseramente infranto: il crollo delle torri gemelle, la paura del terrorismo, lo scontro di civiltà, antichi e nuovi focolai di guerre, le calamità naturali, il crollo finanziario globale (2008), la rinascita di nazionalismi, la povertà crescente, la fame, disastri nucleari (Fukushima - 2011), i flussi migratori, i crack commerciali, la decadenza politica… e la lista potrebbe continuare…
Nel primo punto del manifesto dell’Esasperatismo, ovviamente, non si parla di finanza, di debito, di precarietà, termini/realtà che caratterizzano il nostro vivere quotidiano. Non poteva essere altrimenti. Solo oggi vediamo con chiarezza che l’economia e la finanza non sono al servizio dell’appagamento dei bisogni sociali basilari, in un sistema internazionale democratico, rispettoso dei diritti fondamentali della persona e della natura; solo oggi è evidente che il vigente sistema economico internazionale inasprisce le disuguaglianze sociali, favorisce la xenofobia, mette l’accumulazione dei profitti al di sopra dei diritti umani e insiste nel degradare le persone a meri consumatori di prodotti, non a promuoverle alla dignità di cittadini.
Solo oggi appare chiaro sotto i nostri occhi che le lente riforme peggiorative del diritto del lavoro hanno avuto ripercussioni su tutti gli aspetti dell’esistenza, e non solo di quella di chi lavora. La vita di un crescente numero di persone è sempre più caratterizzata dalla precarietà: precarietà del reddito, del lavoro, ma anche di qualsiasi progetto di futuro, come decidere di lasciare i genitori, intraprendere una vita adulta, metter su casa, avere dei figli.
Il modello di società che negli anni si è andato affermando, è quello in cui non sono più garantiti né beni, né diritti, né un sapere comune; dove ognuno deve cavarsela come può.
Il fallimento di quel modello di progresso è sotto gli occhi di tutti e tutte: la qualità della vita non è migliorata, le relazioni umane non sono migliorate. In questo tempo di crisi – economica, ambientale, culturale, etica – il vivere quotidiano mostra chiaramente il suo volto esasperato, mostruoso e deformato.

L’uomo, immessosi in un ritmo frenetico (come sottolinea il Manifesto), ne ha perso il controllo e oggi ne è completamente vittima. Nella cieca illusione di realizzarsi, di raggiungere traguardi sempre più alti, e nel delirio di voler controllare ogni aspetto della vita, l’uomo si è perso.
Un proverbio afghano (ripreso da Federico Rampini come titolo del suo ultimo libro) recita: «Voi avete gli orologi? Noi abbiamo il tempo», lapidario motto contro la frenesia occidentale.
Il nostro vivere quotidiano scorre troppo in fretta, e noi non riusciamo a stargli dietro. Ogni cosa procede troppo velocemente, gli impegni rincorrono affannosamente le lancette dell’orologio, e non riusciamo più a dare spazio nella nostra vita al tempo, inteso come un luogo sacro da dedicare alle piccole… grandi cose come: sorseggiare un tè con un’amica, fare colazione con la persona amata, leggere una favola al proprio bambino, ascoltare della buona musica, attendere il tramonto del sole… Se riuscissimo a strappare queste “pause” al ritmo frenetico dei nostri orologi daremmo un volto più umano al nostro vivere quotidiano e, forse, ci faremmo trovare meno impreparati al momento in cui saremo confrontati con l’esperienza del limite estremo della malattia e della morte, nostra e delle persone che amiamo.

E invece no! Aggrovigliati come un nastro che si attorciglia, siamo sempre in affanno, affaticati dal pensiero di non farcela.
Ancora una volta profeticamente, nel suo manifesto Giuliani individua nello stress e la depressione i risvolti patologici dell’esasperazione del vivere.
La depressione oggi sta diventando un’emergenza mondiale. Il World Mental Health Day (che si è celebrato il 10 ottobre scorso) è stato dedicato proprio a questa patologia che, secondo le previsioni dell’Organizzazione mondiale della sanità, diventerà nel 2030, la malattia cronica più frequente. Un disturbo che oggi tocca molti giovani che stentano a trovare lavoro, ma anche i cinquantenni che escono dal ciclo produttivo per sempre.

Rispetto a quanto veniva percepito nel 2000, quando nasceva l’Esasperatismo, credo che oggi il nostro vivere quotidiano esasperato abbia come sue conseguenze problematiche anche una aggressività diffusa e una violenza crescente a tutti i livelli.

L’aggressività e la violenza non è solo quella eclatante che sfocia nelle percosse fisiche, nell’omicidio, nel femminicidio, c’è un’aggressività che si evince dal linguaggio verbale, dal comportamento, da come stiamo nel mondo… se chiedessi a ciascuno/a di voi di condividere un episodio di aggressività o violenza nel nostro vivere quotidiano di cui siamo stati spettatori, o ahimè protagonisti, credo che non avremmo il tempo di ascoltare gli interessanti interventi che sono in programma…
Ma allora? Cosa ancora ha da dirci dopo questi 12 anni questo manifesto? Quali possono essere le prospettive future?

Credo che rimanga valido l’appello – che percorre tutto il manifesto – a rimanere “umani”, a non lasciare che la nostra umanità sia sfigurata, a continuare – nonostante tutto – ad avere fiducia nell’uomo: pena il regredire al livello bestiale; a non lasciarci trascinare in basso, a non cedere al ribasso con i diritti e i valori. Il richiamo è a porre sempre come prioritari: la difesa della dignità umana, e delle relazioni umane con l’altro/a che incontriamo, siano esse persone a noi vicine, siano persone che vengono da lontano e che ci interrogano con la loro diversità culturale, religiosa. L’appello di Giuliani è “Rimanere umani” per costruire non un futuro, ma già un presente fatto di fiducia, di accoglienza, di non-violenza, di speranza.

Dunque, concludendo, l’appello ancora valido e attuale del Manifesto è di resistere e cercare di strappare il vivere quotidiano al turbinio frenetico dell’esasperazione attraverso la lotta al pensiero unico, all’illusione del potere e del danaro; attraverso la riflessione e l’approfondimento culturale; attraverso lo splendore dell’arte, la bellezza della poesia, e l’armonia della musica; attraverso delle occasioni di incontro in cui uomini e donne - con umiltà e serietà - si interrogano sul senso della vita presente. Proprio come stiamo provando a fare noi questa sera, certo, con i nostri limiti, ma anche con sincera gratitudine per l’opportunità che ci è stata donata dal prof. Giuliani e dal movimento dell’Esasperatismo.
Grazie dell’attenzione.


"LA NATURA VIOLENTATA: NUOVE PROSPETTIVE"
di Clara Guarino

Affrontiamo, non senza una qualche apprensione, una tematica affascinante, ma anche assai complessa. E il movimento al quale mi onoro, idealmente, di appartenere, ha sempre affrontato argomenti di attualità e, al tempo stesso, si è fatto carico in particolare di quelli emergenti. Qualsiasi discorso in merito, è bene che lo diciamo come premessa, non è mai esaustivo perché le azioni umane appartengono all’uomo, ma la loro somma non è mai del medesimo uomo.
Il rapporto uomo-natura costituisce un unico, inarrestabile fiume che non ha principio e non conosce fine. È come un tappeto mobile sul quale vai e stai fermo, stai fermo e cammini.
È una singolare condizione la nostra, come osserva Husserl, nel Sein und zeit- Essere e tempo. Il tempo è alla radice della vita e, al tempo stesso, è legato alla morte e varia incessantemente.
Per questo la parola “fine” non si addice a nessun uomo, non gli si addice nessuna conclusione. Michelangelo cominciò con il David e finì con la pietà Rondanini. Gli uomini, le opere e le parole sono come grani di sabbia che scorrono nella clessidra del tempo. E mi tornano in mente alcuni versi di Bruno Lucrezi:
Sta l’Oceano del tempo,
cadono
insieme
in esso
grani di sabbia.
S’adagiano al fondo
uguale distesa sommersa,
ma sempre una storia diversa ci preme.
È quella che alcuni definiscono la catalisi crociata dell’uomo con l’ambiente, la interfunzionalità e la certezza che comunque sia, la natura e non l’uomo, che è transeunte, rappresenta la memoria del mondo.
E, a riprova di tanto, nel libro La memoria del mondo Italo Calvino ha illustrato i personaggi che parlano tra loro e fanno pronostici sul mondo, mentre intorno si muovono le grandi ombre dei dinosauri e la Terra si è appena solidificata. L’occhio del narratore è andato molto più in là di una ricostruzione in termini di Scienza e di Fantasia (o di fantascienza, se proprio si vuole) delle ere che si perdono nel sonno antichissimo della geologia. Compie un’operazione inventiva di altissima novità e, al tempo stesso, concreta esercitando l’immaginazione sul passato quasi pre-umano della nostra vita anziché interrogarsi sul misterioso futuro che ci attende.
È un’occasione stimolante e originalissima di lettura.
Prendendo spunto da frasi contenute in libri scientifici, Calvino ha trovato i testimoni che c’erano quando l’universo era ancora in formazione e li fa parlare.
La grande sorpresa che generano questi racconti sta nel dimostrare come , in fondo, anche in un mondo remoto ove volano meduse al posto di farfalle, sia possibile sentire vicinissime, la presenza delle inquietudini dei sentimenti, delle luci e delle ombre di sempre nel rapporto uomo-natura.
Eppure voci, suoni, odori e rumori del mondo naturale esaltano la nostra forza, la nostra potenza, la nostra passione, alimentano costantemente l’ansia di vivere, di operare, di lottare per raggiungere qualche traguardo al di là del quale ognuno spera di trovare,finalmente, quel che cercava, nel salutare oblio della nostra congenita fragilità.
La passione è fondamentale, è la molla della vita.
Erasmo da Rotterdam sosteneva che Giove aveva inculcato nell’uomo più passione che ragione, per evitare che la vita diventasse monotonia e affinché l’uomo non si abbandonasse a un distruttivo nichilismo. Spesso, infatti, il silenzio dei pensieri ci pone nella condizione di dover rientrare in noi stessi, di misurare la nostra statura al cospetto delle cose più grandi di noi.
Homo sapiens si è autodefinito l’uomo, ponendo se stesso sul gradino più alto della gerarchia degli esseri viventi. L’uomo occidentale è quello che ha premuto di più l’acceleratore in direzione dello sfruttamento illimitato dell’ambiente e che, pertanto ha operato in maniera più massiccia verso una degradazione e ora deve fare i conti con le conseguenze pericolose del deterioramento ambientale.
Per lungo tempo ci si è ostinati a ricercare come voleva Cartesio, quel metodo che insegna ad analizzare esattamente tutti i dati. Paradossalmente è proprio in questo processo di approfondimento critico e abbandono delle certezze tradizionali che la scienza dimostra il suo vero limite.
Mettendo in crisi la sua stessa tradizione, la scienza è costretta ad accettare il proprio destino tragico nella misura in cui prospetta un procedere senza fini e senza sicurezze di sorta. Un procedere che non significa affatto progresso nel senso usuale del termine, se per progresso intendiamo il progressivo dispiegarsi della Ragione che sempre più si avvicina a un ideale di una conoscenza completa, di un assoluto controllo degli eventi naturali, di una perfetta organizzazione della convivenza civile. Ebbene tutto ciò è una chimera che appartiene a un passato recentissimo eppure distante da noi anni luce, è l’illusione di una cultura che credeva di essere vicina ad aver risolto tutti i problemi. E, invece più avanziamo nel campo della conoscenza, più il mondo circostante ci appare complesso e difficile da spiegare. Così è la società umana.
Quella stessa tecnologia che ci permette di vivere circondati di ogni comodità, oggi ci pone dinanzi a delle alternative, a dir poco, angoscianti. Qualcuno lo definisce il “Grande gioco perverso” mentre qualche altro, come Paolo Masullo, sostiene che questa è la condizione dell’“umano in transito”. È in gioco il futuro, non tanto il futuro del nostro essere quanto del nostro divenire.
Credo che il terrificante deterioramento nel comportamento cieco della gente oggi derivi fondamentalmente dalla meccanizzazione e disumanizzazione della nostra esistenza, un disastroso sottoprodotto dello sviluppo della mentalità scientifica e tecnica che si lanciano verso un futuro rischioso.
Nostra culpa! L’uomo si raffredda molto più rapidamente del pianeta su cui vive.
Oggi la scienza ci impone di abbandonare le comode certezze sulle quali abbiamo costruito il nostro benessere (o mediante le quali abbiamo mascherato il nostro malessere) e di incominciare daccapo. La nostra speranza, io credo, non sta nella fuga dalla tecnologia o dalla scienza, ma in un diverso e più maturo modo di intendere tecnologia e scienza. Ci rendiamo, finalmente, conto come gran parte del nostro tempo sia speso in cose non utili e non essenziali ai nostri reali bisogni.
Basterà imparare a contemperare i tempi del nostro mondo naturale con il ritmo della mente, persuasi che il … tacito infinito andare del tempo distrugge le cose mediocri ma arricchisce e rafforza quelle autentiche. È soprattutto nella nostra testa che devono cambiare le cose, il nostro modo di intendere. Nel mezzo, pur nel pacato ma attento ascolto del sommovimento in alto, si profila la necessità di un impegno etico per non patire passivamente, anzi per governare con “ragione affettiva” l’articolatissimo mescolamento che avanza.
Se Martin Heidegger ha indicato nella cura dell’Essere il nostro compito più proprio, il concetto di post-umano indica nella cura del Divenire, cioè nella cura della dimensione evolutiva del bio-tecnocrate, l’impegno più adeguato a un uomo che va inteso e ripensato come sospeso tra natura e cultura, tra tecnica e tecnologia, per un agire rivolto a rendere possibile, nel mutamento incessante, il suo continuarsi.
La bellezza della natura salverà il mondo sosteneva Dostoevskij e la bellezza nasce dallo sguardo dell’uomo, da uno sguardo avvezzo a guardare e a comprendere.
Infatti non c’è cosa più inutile che eseguire la sesta sinfonia di Beethoven davanti a una platea di sordi. Questo non vuol dire, però, che la sinfonia non c’è. Vuol dire, semplicemente, che gli spettatori di quella platea, essendo sordi, non la odono e pensano che non ci sia.
Così è di ogni uomo che non scorge il divino che c’è nella natura. Si tratta di un uomo sordo. La verità non è mai assoluta, è dentro i nostri occhi, dentro i nostri cuori, nei nostri cuori intendenti, nella nostra voluntas agendi. E allora fa piacere pensare con Ungaretti che immergendosi nel caldo abbraccio della natura, ascoltando le sue voci, si avverte, poi si percepisce il brusio della vita. Si incontrano altri nomadi d’amore, altre anime vagabonde che ci ricordano la nostra origine. Perché di una radice, di un destino l’uomo ha bisogno come del pane, dell’acqua e della luce. E il manifesto dell’Esasperatismo, corroborato dall’entusiasmo e dal coraggio del suo autore, ci spinge a questa presa di coscienza, a un più equo rapporto dell’uomo con la natura. E io credo che sortirà grandi effetti perché se la parola convince e, talora, conduce è l’esempio che trascina.
Utopia? Ma Oscar Wilde sosteneva che una persona che non immagina l’utopia non ha la motivazione di esistere. Perciò noi sosteniamo e sosterremo l’assunto dell’Esasperatismo con la mente ove nascono le idee e con la forza del cuore ove germogliano i sogni.

autore del sito è Nunzio Capece